«Quel che viene a mancare»

← Cartellone | Stroncatura


Un testo in rete è la sua fine ― il testo in movimento, cioè il testo senza fine. Non a caso è detto appunto un testo «virtuale». Se è su carta, e se si è in due, ciò che io immagino delimita l’immagine dell’altro e così le immagini si dànno forma tra loro. «Se io gli presto dei pensieri, in compenso egli mi fa pensare» (Merleau-Ponty).


Prefazione – inedita – alla versione e-book
Il carattere è una questione d’immagine, nelle persone come nella scrittura. Se – supponiamo – una persona è il proprio carattere, tanto che a cambiarlo non è più sé stessa, allora ne viene che la persona vive d’immagine, è precisamente l’immagine del proprio carattere. Così per il testo: la scrittura è il carattere congruente all’immagine di un concetto.
I lettori dabbene vanno dritti al sodo: cristallizzano il contenuto a discapito della mutevolezza della forma; tanto che per essi è indifferente “come” sia scritto un testo. Se il testo è assoluto – e finora s’è preteso tale quasi ogni testo filosofico – che importanza può mai avere la forma attraverso cui si esprime? La mancanza di stile ha caratterizzato tanta parte della filosofia, in special modo la cosiddetta filosofia accademica. Lo stile di un testo è il carattere che lo forma; ma gli studiosi – e ne passa tra uno studioso e un filosofo: il filosofo è colui che non studia, perché non ne ha bisogno, – gli studiosi dilatano il contenuto, ispezionano i concetti, analizzano le immagini, prescrivono le tesi: che se ne fanno della forma? Il loro criterio è la scientificità, ossia il fanatismo del contenuto. In questo lavoro da ginecologi (dilatare, ispezionare, analizzare, prescrivere…) va perduto il piacere estetico, ossia il godimento dei sensi. Come il ginecologo, per deontologia, non può godere al contatto con un organo sessuale, così lo studioso non deve godere “per mestiere” nell’immaginare una forma. Ogni trattatello accademico è come il resoconto d’un calo del desiderio. A rinvigorire la spenta libido arrivano i soldi dei dipartimenti. Ringalluzziti si producono saggi. E certe pubblicazioni sembrano prestazioni sessuali a pagamento, certe case editrici fatiscenti case chiuse.
È una questione d’immagine, è una questione di stile. Cos’è questo benedetto stile? È la forma del testo, senza la quale ogni dire è uguale a ciascun altro. Nessuna ingenuità: che l’impaginazione cambi il contenuto non è vero “alla lettera”. Parole si susseguono a parole, frasi a frasi, capitoli a capitoli, sempre nello stesso identico modo. Ma se è vero che la lettera è morta, bisogna rifarsi allo spirito: “alla lettera” è vero invece che – tanto per dirne una – l’impaginazione è l’immagine dello spirito del testo.
In quanto scrittori – e ogni editore degno di questo nome è anzitutto scrittore – si è per lo più musicisti, nella fattispecie direttori d’orchestra: a leggere una partitura, di primo acchito, si coglie la validità della musica e si capisce come disporre gli strumenti. Così è per un libro: l’impaginazione, l’orchestrazione della pagina è l’immagine del concetto.
Si può leggere un libro in tanti modi, lo si può interpretare, sfogliare, cambiare, impaginare in maniera affatto diversa; ma così si va oltre il libro stesso, quando invece dovrebbe avvenire il contrario. Il libro va ben oltre il contenuto, è al di là delle parole che vi sono impresse, eppure la forma che il libro assume non può fare a meno di esse. Ogni libro è un oggetto filosofico, ove contenuto e forma non possono essere separati e non si dà preponderanza di nessuno dei due termini.
Compito dello scrittore è scrivere un libro che sia un’immagine di sé medesimo. Compito dell’editore – e ogni editore è anzitutto scrittore – è realizzare un oggetto adeguato all’immagine, una materia adeguata alla forma, una cosa permeata dal concetto. L’editoria è una questione d’immagine.

Bene. Cosa hai adesso per le mani? Niente di che.
Per quanto detto finora, di certo niente che somigli a un libro. Hai in mano un dispositivo di lettura. Niente di più utile esiste al mondo, da che mondo è mondo. Ma non hai più un libro, non hai più un oggetto filosofico. Bene che vada, hai in mano un’astrazione filosofica, ma niente di concreto. Stai palpando la tua stessa voglia di conoscere, ma non sei mai stato così lontano dal “capire” la filosofia. Saremo tutti tecnologici professorini, saremo in procinto di leggere qualcosa dal sapore filosofico, ma niente arriverà alla nostra bocca: si fermerà tutto alle mani. Ancora una volta, ci siamo ridotti alle mani. Meniamoci, dimeniamoci, ma scordiamoci la filosofia ― faremo prima.

― Perché ostinarci a dire queste cose?
― Perché non le stiamo affatto “dicendo”.
― Perché omaggiare il testo cartaceo, e spregiare quello “virtuale”, proprio in un’edizione virtuale di questo testo?
― Perché si avverta quel che viene a mancare proprio laddove manca.

Quest’edizione virtuale non presenta corsivi, non garantisce una determinata struttura, non ha forma alcuna, né stile di carattere. È senza immagini, dunque è un libro perduto.
Però in compenso puoi trovare le parole su google. Quelle che leggi le trovi tutte disordinate, però puoi ripescarne in rete i significati più convenzionali, così magari ti orienti e ci capisci qualcosa.
― Sì, poi ci dirai.
Se però non ti piace, non andare in giro a dire che lo hai letto: sarebbe come dire che non ti piace un dipinto anche se per tutto il tempo lo hai guardato in falsi colori, sottosopra e smembrato in cento parti. Magari invece ti piace proprio così, ma sappi che in tal caso staresti parlando di un’altra cosa. Di qualcosa che niente ha che fare con l’opera.

Bene. Adesso prova a ignorare queste premesse e immergiti liberamente in qualsiasi cosa tu voglia avere per le mani in questo preciso momento. Questa cosa qualsiasi assumerà le forme che più ti aggradano, e così sarai immerso pienamente nel tuo tempo.
Della filosofia, ― magari un’altra volta.

Appendici  →