A proposito di Jakob Spielhans

«Oggi prevale l’etica più franca che si dia, ossia quella espressa dalla massima della sapienza antica: Ego deus mi ipsi lupus tibi». Jakob Spielhans, Fragmente, in Ausgewählten Schriften («Heute überwiegt die freimütigste mögliche Ethik, das heißt die durch den Denkspruch der antiken Weisheit zum Ausdruck gebrachte: Ego deus mi ipsi lupus tibi»).

Partendo dai Fragmente iniziali, scopriamo che il Nostro è autore anche di una Lettera al pastore (Brief dem Hirten), edita dalla casa editrice Pantheon nell’ormai lontano 1979, e di un intramontato L’oscuro riflettere. Su questo ultimo saggio Antonio precisa essere «la breve trascrizione di una conferenza tenuta a Pforta nel 1874 nell’ambito di una discussione Sull’apporto degli studi antichi alla comprensione dei tempi presenti. Ad essere precisi il titolo originale dello scritto di Spielhans suonerebbe Oscurità e perspicuità nel confronto tra il pensiero degli antichi e dei moderni (Dunkelheit und Deutlichkeit in der Vergleichung zwischen dem Denken der Antiken und der Modernen)».

Egli – «collega di Nietzsche a Pforta» e pregevole sostenitore della consistenza effimera dell’individuo, della persona, della conoscenza stessa intesa come erudizione – avrebbe «subìto la stessa ingiusta sorte di Bachofen», essere dimenticato cioè e in questo modo consegnato all’oblìo e a quella stessa ignoranza che però proprio Spielhans riteneva «dure colonne» alle quali aggrapparsi nel momento della verità. Mi permetto di rinviare allora senza indugio al luogo ove discutemmo del filosofo.

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