Res gestæ

Spazio e tempo stanno nella stessa relazione esclusiva di realtà e possibilità: il tempo è l’estensione del possibile, lo spazio è l’intensione dell’impossibile o reale (la cosa, res, è impossibile in quanto cosa; è passibile però di usi – quando cioè è oggetto). La predominanza dello spazio non è logica (semmai illogica), ma linguistica: il linguaggio è reale, la logica è possibile (è lo studio del non essere, concluderebbe oggi Parmenide). Oggi il logico indaga le possibilità della lingua, che è il substrato reale (immobile e immoto) dei pensieri. Il pensiero riflette lo spazio – e la speculazione lo distorce.

«Lo spazio è la possibilità diventata atto» (A. G. Biuso, La mente temporale, Roma 2009, p. 189) solo se invertiamo lo statuto metafisico di Aristotele e accogliamo la lezione di Heidegger senza stare a sentire quella di Hegel che l’ha scossa: tutti sanno che l’«atto» non può essere la scaturigine di un processo che parte dall’infinita possibilità e si compatta in una frazione di essa (il presente, o l’oggetto spaziale), se non da un punto di vista temporale o possibilistico. A voler trattare la questione in termini reali, l’«atto» non è un verbo fattosi sostanza (un participio passato, o il cristo) ma un sostantivo a tutti gli effetti che traduce nella lingua italiana il cardinale sostantivo filosofico greco. L’«atto» è il principio, non il participio: è la condizione dell’umanità greca, non la partecipazione cristiana all’umanità. Alle condizioni greche (e Hegel sottoscrive), il termine è l’inizio. Stando cioè ad Aristotele – e alla filosofia tutta – non lo spazio è «la possibilità diventata atto» ma, al contrario, l’atto è lo spazio delle possibilità. Sull’atto si fonda il possibile – questo, l’atto fondativo della filosofia. L’atto, l’azione, il gesto: questi i principi spaziali dei nostri pensieri. Atti, azioni, gesta: questi invece i documenti legali del nostro tempo. Un tempo si sarebbe detto: Tempus fluit more humano, spatium stat more divino. Dell’odierna sconfitta, invece, dell’impossibile a vantaggio del possibile e della massima vittoria della realtà virtuale ai danni del sostantivo (il principe ontologico della realtà) nessuno discute né ha voglia di farlo.

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