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Il quaderno nero di Joë Bousquet

Tra le tante banalità in cui per antonomasia sprofonda lo psicologo, Aldo Carotenuto riusciva invece a tirare fuori dal cilindro alcuni piacevoli giochi di prestigio. Pure in tante ovvietà di cui è intriso I sotterranei dell’anima1 vi si ritrova qualche chiave di lettura per alcune pagine dostoevskijane, ma soprattutto per l’opaca figura che ricerca la luce, il malato, lo sfidante della morte, l’immobile Joë Bousquet2. Di quest’ultimo ne percorriamo brevemente alcune fasi cruciali dell’esistenza attraverso le parole di Adriano Marchetti:

Un giovane ventenne di Carcassonne, precipitato precocemente nell’abisso della passione, dopo strani presentimenti raggiunge il fronte. Il 27 maggio 1918, a Vailly, è colpito dalle schegge di un obice tedesco che gli spezzano la colonna vertebrale. Ridotto a “cadavere vivente”, condannato all’immobilità, vive da allora sostenuto nella ricerca di una perfezione attraverso l’esercizio della scrittura fino al giorno della morte, avvenuta il 28 settembre 1950.
Alla sua nascita era sopravvissuto ai pronostici dei medici. […] Adolescente, dopo gli studi e un viaggio in Inghilterra, aveva conosciuto una vita di provincia, libera e scandalosa, già dominata dalla droga. Lui stesso racconta a Bellmer: “Nella mia infanzia, la mia abitudine di mordere la bambine mi aveva procurato il soprannome di uomo-cane” [..].
Poi, ventenne, confinato in un’ala del palazzo paterno di Carcassonne, al 53 di rue de Verdun, col corpo paralizzato dalla cinta in giù e sospeso alla quotidiane dosi d’oppio, nella separazione da sé e dagli altri scopre che non vi sono barriere alla sua vita di seduttore e crea un’opera sconfinata, la “prova poetica per disfare tutte le prove”3.

Ebbene, Il quaderno nero è un frutto erotico di non troppo nascosta matrice badiana, sebbene accomunato alle opere del “divin marchese” solo dalla spasmodica narrazione della ricerca del piacere. Ma in Bousquet tale ricerca e tale piacere sono sempre mirati allo sguardo che svela la luce. I corpi che si accoppiano, che si congiungono, che si fondono pur nell’impossibilità della totale fusione, svelano la luminosità che pervade il rapporto sessuale. Le pagine di Bousquet a volte sono impenetrabili, tanto intenso è ciò che si tenta di esprimere. Ma a volte lasciano il posto ad una poesia delicatissima, a momenti di tenerezza pure nelle cosiddette perversioni.Il gusto di Bousquet conduce al piacere attraverso i suoni, i profumi, il tatto; ma è solo con lo sguardo che si giunge a penetrare l’essenza del corpo che ci sta di fronte. Tanto è potente lo sguardo, che a volte il narratore cede a momenti di voyeurismo, quando spia la propria amata congiungersi con un altro.
Il quaderno nero, scritto presumibilmente tra il 1938 ed il 1945 è costituito da una sorta di tema e variazioni sul rapporto amoroso sadico, masochistico, sodomitico, fisico e mentale a un tempo. Ed appunto tutto lo scritto è un tentativo di rendere la complessa unitarietà tra corpo e mente, tra passione, emozione, fisicità, tenerezza, crudeltà. I gesti ricorrenti, le note che costituiscono la parte riconoscibile della diverse angolature da cui è ascoltata la melodia, sono la sodomizzazione, la sculacciata, la flagellazione, il sorprendere la donna nell’intimità in pose oscene e la luce che sempre promana dai corpi.
L’incipit è d’una bellezza sconvolgente. Già il titolo del primo capitolo: Poesia del corpo nell’amore. E le prime frasi:

Adoravo quella ragazza. Il volto era la coscienza del suo sguardo. S’alzava in volo nei suoi tratti gettandomi nell’ombra che si diffondeva dietro di lui. Non so dirlo più chiaramente.
Appena mi appariva, l’oblio del reale prendeva il mio posto4.

Il gioco tra reale e quello che sarà definito come «il bagliore raggiante della sua [della donna] nudità»5 è costante. Ma non è solo la nudità a fondare l’esistenza del narratore; il volto stesso, la figura, anzi l’immagine della donna lo proiettano in una certezza più certa che l’esistenza di sé e del proprio pensiero:

Vieni da ciò che di più oscuro è in me, a guidarmi gli occhi verso il tuo volto.
Sei bionda. In me sei la necessità della tua esistenza.
Non so ma è certo che ti ho incontrata. Questa certezza si forma altre la mia fede nella realtà delle cose.
Sei tutta la forza della mia vita in una fragilità che mi fa pensare all’infanzia6.

Quando fa capolino uno scorcio di narrazione, tra tutto il vortice di sensazioni e illuminazioni, si è preda di un’angoscia verso la propria esistenza stessa. Tutto dipende da lei, dal suo corpo; i fiori stessi appassiscono al suo ritardo. Se ella non verrà, l’esistenza stessa sarà meno certa:

Musica affinché tutta l’oscurità sia nella musica che me la ricondurrà dalla festa.
È tardi: è da molto che l’aspetto: mi sembra che i fiori disposti in suo onore abbiano perduto un poco del loro splendore. Tutti i rumori della città si caricano della mia angoscia per dilaniarmi dentro coi suoi morsi. Forse lei rinuncerà a venire come mi aveva promesso.
Per incantare l’attesa ho suonato le arie che piacciono a lei, attraverso le quali mi sembra di entrare nella realtà della sua angoscia di donna, di trarla dalle mie tenebre come una tenebra più profonda che la ricopre della sua carne solo seppellendomi sotto il brivido della mia7.

E quando ella arriva, tutto si modula secondo la musica. Tutto è colmato dalla sua presenza musicale ed infine splende la bellezza della donna che ancora una volta conduce all’oblia delle sensazioni, per far giungere ad una dimensione più profonda:

Appena ho sentito i suoi passi salire spediti le scale mi è parso che il mio sguardo ricadesse con tutto il suo peso a terra e ci fosse sotto la realtà che ci univa un intero mondo musicale che la bellezza della luce stava per ricoprire sotto la scia silenziosa in cui le immagini s’illuminavano di tutta la mia presenza. […]
Allora si rivelò in lei un silenzio in cui la sua bellezza era tutto: mi parve che d’un tratto si fosse aperto sotto la mia emozione un baratro nel quale si compenetravano di uno strano oblio tutte le mie sensazioni8.

E, ancora una volta, il sentirsi, per mezzo del sorriso, degli occhi, della danza di lei, parte di un mondo altro, di un mondo dopo il mondo:

Prima di ogni pensiero c’è
la fine del mondo nella suprema bellezza di un volto… Tu
la bambina che danza e sorride: oh! i suoi occhi azzurri dove brucia tutta la luminosità cui la mia anima si ispira affinché non sia altro che tenebra in fondo al mio sguardo che la scopre vivente in questo mondo9.

Così, lungo il vortice, il fluire indistinto di pensieri e sensazioni che infine si concludono col ricondurre la donna «presso la sua dimora dove si radica tutta pensosa»10, come se anche il pensiero fosse scandito e distinto solo col cessare dell’atto erotico, atto che invece abbatte le distanze soggettivo-oggettive e la distinzione tra “io” e “tu”.
V’è anche una dialettica tra luce e tenebra: la luce del corpo giunge da lontananze tenebrose, l’oscurità si compenetra della luce e solo in ciò vi è la sveltezza delle essenza, l’oblio del reale a favore di una nuova certezza fondata nell’unione profonda con l’altro. Parimenti, uomo e donna si sintetizzano nel rapporto sessuale al limite dell’androginia; le prospettive biologiche e cosmologiche sono risolte in passi come questi:

La profondità della carne è sotto l’influsso del fuoco terrestre. La profondità degli occhi è nell’irradiazione del sole. Il sole e la terra girano in senso inverso l’uno all’altro11.
L’uomo è sempre nell’utero della donna che ama. E attraverso la sua carne sonda la profondità della propria12.
Nato dalla donna, e uscito da lei, ho il centro fisico della carne nella cellula del suo sesso. E forgiato a partire da quel germe, il mio sesso d’uomo può solo creare la sua forma intorno alla mia se vuol rammemorarsi di tutta la sua vita animale13.

E in questa vita animale che riluce nella rammemorazione, torna in mente l’animalità rilkeana dell’ottava elegia udinese:

Poiché vicino a morte più non si vede morte,
si guarda fisso fuori, forse con sguardo grande d’animale.
Gli amanti, se non ci fosse l’altro che
la vista preclude, sono prossimi a questo e hanno stupore…14.

Anche qui qualcosa di diverso dalla realtà comunemente intesa, ossia l’Aperto (das Offene), che gli animali vedono con tutti gli occhi15 e che il morente e gli amanti intuiscono regredendo all’animalità.
Infine chiudiamo con una nota di tenerezza, in cui ben riluce l’unione tra la mera carnalità ed il sentimento amoroso. L’unione è l’Erotico:

Sollevato al di sopra del sedere, il vestitino incorniciava come un fogliame quel tenero frutto di luce e d’amore. Sottovoce, attraverso lo spessore dei cuscini, lei pronunciava parole d’amore e dovetti chinarmi per coglierle16.

Il ferito, l’infermo, l’immobile è riuscito a mettere in opera l’erotico a cui non può più accedere se non in ciò che lo rende tale: il ricordo immaginoso. La memoria lavora sulle immagini e le rende reali oltre il reale. La percezione del proprio corpo che non si percepisce più, sconfina nel corpo ricordato o osservato delle donne. Dalla penombra della stanza, dal confine immobile del letto, fondato oltre la fede nella realtà delle cose, impera l’erotico svelato nella sua essenza visiva e immaginale.

Note
1. A. Carotenuto, I sotterranei dell’anima. Tra i mostri della follia e gli dèi della creazione, Bompiani, Milano 2001.
2. Carotenuto se ne occupa maggiormente in: ivi, pagg. 95-183.
3. A. Marchetti, La luce della carne, in J. Bousquet, Il quaderno nero, Es, Milano 2000, pagg. 249-250.
4. Ivi, pag. 13.
5. Ibidem.
6. Ivi, pag. 137.
7. Ivi, pag. 136.
8. Ibidem.
9. Ivi, pag. 134.
10. Ivi, pag. 135.
11. Ivi, pag. 17.
12. Ivi, pag. 120.
13. Ivi, pag. 15.
14. R. M. Rilke, Ottava Elegia, vv. 22-25, in Poesie, Einaudi, Torino 2000, pag. 187.
15. Cfr, ibidem, primo e secondo verso dell’Ottava Elegia.
16. J. Bousquet, Il quaderno nero, cit., pag. 14.