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Franz Schubert: «Winterreise»

In un sito che si propone di profondere il pensiero a ciò che rimane oscuro, non si può non parlare di coloro i quali hanno vissuto all’ombra di qualcuno o qualcosa. Certamente il temperamento, l’ingegno, il vigore profusi nell’opera di Beethoven hanno condizionato ben più d’una generazione di musicista; tanto che non sì è riusciti nella creazione di una “decima sinfonia”. Tuttavia, chi più ne subì l’influsso e ne accusò la al contempo ingombrate ed esaltante presenza, fu un suo contemporaneo e concittadino (addirittura l’ultimo periodo abitarono nello stesso quartiere).
Franz Schubert morì un anno dopo Beethoven, nel 1828, a soli 31 anni. Per lui l’autore della Nona fu «un idolo al quale non aveva mai osato accostarsi»1. Non solo, ma Roggeri stessi ne parla pure in questi termini:

Se il sentire il proprio spirito dominato da una intelligenza superiore e vivere in adorazione dell’opera del maestro e studiarlo e diffonderlo ed eleggerlo a premio delle proprie fatiche e conforto delle proprie pene equivale ad esserne l’allievo, Schubert fu il più devoto discepolo di Beethoven2.

Al di là di questi biografismi che a dire la verità lascerebbero il tempo che trovano se non si traducessero in tentativi musicali (ad esempio, la cosiddetta “terza via” che Schubert tentò, tra il classicismo di Mozart e l’impetuosità, pur anch’essa classica, di Beethoven; “terza via” che trova manifestazione più alta nelle due ultime sinfonia di Schubert: l’ottava, detta “incompiuta” e invece compiutissima, e la nona); al di là di questo, dunque, mi voglio occupare di alcuni particolari, stupendi Lieder tra gli oltre seicento che Schubert scrisse. Si tratta del ciclo Winterreise; ossia Il viaggio d’inverno. Le liriche di questo ciclo furono scritte da Wilhelm Müller (1794-1827) e pubblicate nel 1820. Si tratta di un «poeta epigonale, che ha saputo muoversi con grazia e misura su uno scenario pieno delle figure e delle presenze naturali più invalse del repertorio romantico»3.
Schubert musicò questo ciclo di liriche nel 1827; la musica è colma di pagine di una delicatezza unica e mai raggiunta da altri; di una tensione, di un vagare, di un pellegrinare che si conclude con una domanda a cui non si dà risposta. La vicenda è una non-vicenda: un giovane che in primavera trovò l’amore adesso è scacciato dall’amata e vaga nella natura ostile e gelida, trovando consolazione solo nel ricordo dell’amata e dei fiori; infine incontra un vecchio con un organetto, un povero sventurato coi piedi nudi sul ghiaccio, col piatto dell’elemosina sempre vuoto ed a cui il giovane domanda se può incamminarsi con lui, cosicché il suo lamento possa trovare un misero accompagnamento musicale.
Schubert apre la forma liederistica a oscuri presagi, a divagazioni, a forme classiche che si espandono, alternando melodie dolcissime a stati d’animo inesprimibili e confusi. Propongo di seguito una traduzione ritmica che feci di alcuni brani cinque anni or sono. Allora mi proposi di essere quanto più fedele all’originale con un’unica eccezione: all’inizio il viandante è scacciato via dall’amata; io lo resi meno distinto e lo feci cominciare a vagare per una qualcosa di indefinito e più forte di lui (eh! Che volete! La Sehnsucht giovanile mi travolgeva).

Per l’ascolto consiglio: F. Schubert, Winterreise, Peter Pears: Tenore, Benjamin Britten: Pianoforte, Decca Music Group Limited, Londra 2000.

Buona notte (1)

Se io arrivai straniero,
straniero me ne andrò.
Son appassiti i fiori
che Maggio mi portò.
Parlava lei d’amore,
di nozze si parlò –
adesso il mondo è oscuro,
la neve lo velò.

Il tempo del mio viaggio
nessuno sceglierà;
dovrò cercare un raggio
in quest’oscurità.
Per sola mia compagna
la luna ci sarà
e l’orma in campagna
di fiere mostrerà. Perché dovrei restare
se poi lontano andrò?
O cani voi ringhiate
davanti a chi vi amò.
L’amore ama vagare,
così l’ha fatto dio,
vuol d’uno all’altro andare,
buon notte amore mio.

Non posso disturbarti,
c’è pace su di te;
accosterò la porta
pian piano dietro me.
E su di lei avrò scritto
“buon notte” amor perché
così tu avrai visto
che avrò pensato a te.

Lacrime ghiacciate (3)

O lacrime di ghiaccio
cadete voi da me;
voi siete un freddo pianto
ed io non so perché! O pianti, tristi pianti,
ma chi vi raffreddò?
O siete voi la brina
che l’alba mi portò?

Eppure voi nascete
da un cuore che avvampò,
potreste aver disciolto
l’inverno che ghiacciò!

Sul fiume (7)

Tu che scorrevi lieto,
splendente fiume mio,
adesso non saluti
ma mi dicesti addio. La dura e fredda brina
ghiacciando ti coprì
e giaci freddo e immoto
disteso e muto lì.

E su di te io scrivo,
su te che giaci qui,
il nome dell’amata
e l’ora ed anche il dì: del dì che l’incontrai,
del dì che me n’andai,
disegno intorno al nome
l’anello che spezzai.

Mio cuor, in queste acque
il tuo riflesso c’è!
Oh, sotto questa brina
un tempo il cuor batté.

Un sogno di primavera (11)

Io vidi in un sogno i fiori,
splendevano come non mai!
Su un prato di mille colori
assieme agli uccelli volai. Dal sogno mi ha destato
un gallo che cantò;
nel cielo freddo e oscuro
un corvo nefasto gracchiò.

Ma chi dietro quei vetri
i fiori ridisegnò?
Potrai mai rimproverare
chi fiori in inverno amò? Io vidi in un sogno i cuori,
s’amavano come non mai!
Tra baci ed abbracci d’amore
felice tra i fiori vagai!

Ma il cuore mi ha destato
un gallo che cantò
e mi ritrovo solo
diviso dal sogno che ho. E chiudo ancora gli occhi
mi batte il cuore ancor.
Ma quando vedrò i miei fiori?
L’amata riabbraccerò?

Il rifugio (21)

A un grigio cimitero
la strada mia finì,
pensavo tra me stesso:
sarò sepolto qui. Le funebri ghirlande
a me sembrano dir:
se stanco e il viandante
si fermi e dorma qui.

Ma in questo freddo luogo
di posto non ce n’è
ed io sono troppo stanco
perfino per morir. O tu, crudel rifugio,
tu sei senza pietà.
Avanti, allora avanti,
c’è chi mi sosterrà.

Il suonatore d’organetto (24)

C’è uno strano vecchio
dietro la città;
suona un organetto
come meglio sa. Scalzo sopra il ghiaccio
chiede sol pietà,
ma il suo vuoto piatto
vuoto resterà.
(incompleta)

Note
1. E. Roggeri, Franz Schubert, FME, La Spezia, 1990, pag. 168.
2. Ivi, pag. 169. Sui fantomatici rapporti che potrebbero esserci stati tra i due, si veda: ivi, pag. 171, nota 1.
3. G. Bevilacqua (a cura di), I romantici tedeschi. Narrativa e lirica, BUR, Milano 2003, pag. 795. Qui si trova anche una traduzione con testo tedesco a fronte di alcune liriche de Il viaggio d’inverno, precisamente di: Buonanotte, Il tiglio, Acque in piena e Mattino di burrasca. Cfr, ivi, pagg. 818-829.