Quel che viene a mancare. Il saggio critico e Carmelo Bene
Collana «Ellissi» | Villaggio Maori Edizioni | 2012
Non è un male aver perduto quel che non può venire a mancare.
(Schopenhauer)
* * *
CARTELLONE
― In medias res ―
Il saggio critico
Un dialogo monco
Prologo
Fastidiare
Atto I
Il pensatore sulla scena ― Cosa stiamo scrivendo? ― Nuove forme ― Senza codice ― Chi parla? Ovvero del nessuno e trino ― Intestino di pietra
Atto II
L’essere si dice in un solo modo ― Inizio e fine ― L’insufficienza dell’essere ― Nomadismo ― Minoranza assoluta
Epilogo
Mantrana
Apparato
B
Parabola
C
Iperbole
D
Deambolo
Titoli di coda
Una bibliografia mancante
Stroncatura – integrale – di «un amico»
“Il tempio dell’ignoranza e l’ombra del buon senso” dovrebbe essere il sottotitolo di questo libro. Libro? Mi correggo subito: aborto filosofico. Se i libri sono come figli, questo non dovrebbe vedere la luce.
Certo, però, che se godete nel veder distrutti duemilacinquecento anni di storia del pensiero occidentale, è la lettura che fa per voi. La forma letteraria ed editoriale è fuori da ogni logica degna di questo nome; il contenuto — se c’è — è il prodotto di un maltrattamento ripetuto del linguaggio. L’assurdità più grande è senz’altro quel nome nel sottotitolo — Carmelo Bene — inserito più come pretesto che come provocazione.
A tal proposito, l’unico punto a favore di questo libro è lì nell’«Atto II 3» (e no, non si tratta neppure di un testo teatrale) de Il saggio critico (una criticità che non ha nulla a che vedere col sano criticismo), dove gli autori esortano sé stessi: «Andiamo a fare in culo». Di questo illuminante passaggio, che apre a una storia della metafisica davvero sui generis, non è possibile dare indicazioni bibliografiche precise: non hanno nemmeno inserito i numeri di pagina. Proprio la bibliografia, qui chiamata Titoli di coda (della peggior commedia all’italiana), è inoltre difficilmente consultabile.
La filosofia — quella ancor degna disciplina insegnata nelle nostre università — e i suoi più grandi nomi ne escono bistrattati. La dialettica hegeliana è scambiata per un fine settimana trascorso tra bottiglie di alcolici; l’eterno ritorno dell’uguale, formulato da Nietzsche, è ripetutamente smembrato e ricomposto in maniera del tutto differente; il tempo — ciò di cui la disciplina universitaria si occupa — è detto inesistente, e questa assurdità (contro ogni buon senso e logica ― di quest’ultima, per quanto si parli anche di Wittgenstein, nel libro ce n’è poca) è messa in bocca non solo a Bene, ma anche a Parmenide.
Il libro sembra che parli da solo (l’autore non c’è) e spesso solo di sé stesso. È chiaramente uno scritto privo di ogni obiettivo, o ne ha forse solo uno: «fastidiare».
Intervista di Silvia Bellia | Carmelo Bene e l’arte di “fastidiare”
Recensione di Elio Ria | «Quel che viene a mancare» a sostegno del pensiero