Archivi tag: Proust

La città di Alessio Drago

drago_cittàvisibili

Per resuscitare il mondo bisogna fondare un’altra città.
Giuseppe Raciti

Il modo in cui noi abitiamo la città si rivela in modo essenziale – cioè in sé – nelle abitazioni che la fanno, negli abiti che la colorano e nelle abitudini che la vivono. Tutti e tre questi caratteri umani si legano indissolubilmente, come suggeriva in qualche modo già Heidegger, all’abitare. Il fotografo della città incontra spesso la difficoltà di cogliere tutti e tre questi aspetti quando vuole rappresentare l’abitare. Se però giunge in suo soccorso la tecnologia digitale, lo strumento che con un dito allarga gli orizzonti della rappresentazione, allora la fotografia può compiere un vero passo in avanti: una volta catturato lo spazio, può cogliere il tempo. E quindi non solo le abitazioni e gli abiti ma anche le abitudini del cittadino.
Alessio Drago (nella sua personale mostra fotografica «Le città visibili» esposta a Valverde, presso la sede del Gruppo Fotografico Le Gru) ha tentato proprio questo passo – con successo – rubando dei momenti a due città siciliane: Catania e Palermo. Vedendo le foto, ci immergiamo nelle realtà cittadine che, proprio perché distorte dalla sovrapposizione dei tempi, ci appaiono più vere.

La città di Alessio Drago (fotoblocco)

La tecnica con la quale alla fotografia viene fornita quella dimensione in più è di matrice digitale, naturalmente: in particolare si tratta – ad uno sguardo anche superficiale – in alcuni casi di uno spostamento della stessa immagine in una determinata direzione sovrapponendo due istanti identici, in altri di una sovrapposizione della stessa inquadratura in più istanti diversi. Sono rintracciabili anche effetti di movimento diversi che rendono lo scorcio o le persone ritratte quasi volessero catapultarsi addosso allo spettatore, o questi corrergli incontro. Il risultato però – com’è ovvio – non è la semplice somma di queste tecniche: come ogni buona creazione, l’idea di essa (sebbene non la creatura stessa) sta già nel primo istante – nel primo scatto. Mi vengono in mente i risultati di Thomas Weinberger applicati però a misura d’uomo, e non di città.
L’etologia umana ci insegna il rapporto difficile tra uomini e città: ad esempio, Eibl-Eibesfeldt ci ricorda che

Grazie alla sua cultura, l’uomo è senza dubbio in grado di insediarsi nei più diversi ambienti. Egli modifica il paesaggio, rende fertili i deserti e costruisce città climatizzate, cosicché è ormai a proprio agio in ogni parte del pianeta. Non sembra tuttavia che l’uomo sia ovunque ugualmente felice: soprattutto la vita nei grandi agglomerati urbani gli procura malessere, e ciò dimostra che le sue capacità di adattamento sono soggette a limiti ben determinati. (…) quasi da un giorno all’altro, egli si è trasformato in un uomo dell’era industriale e tecnologica, e tale fulminea evoluzione sembra averlo lasciato senza fiato1.

Nella sua suggestiva introduzione alla mostra (alla quale rimando per un competente giudizio storico-tecnico, oltre che estetico), Enzo Gabriele Leanza (docente dell’Università di Catania) scrive infatti che

le città che vediamo in queste immagini sono quelle che effettivamente viviamo, sono quelle di un mondo occidentale policentrico e multietnico, trasformate in puro spazio commerciale ed espositivo, cariche dei segni della comunicazione e delle ferite visive che l’approccio fotografico tenta di sanare attraverso la ricomposizione tra luogo e persone che lo animano.

Questa visibilità è garantita, quindi, proprio dal tempo: la città è visibile solo nel tempo. Per quanto le città “senza tempo” siano quelle che ricordiamo di più. Forse perché quelle che ricordiamo con emozione sono quelle che vediamo meno, quelle che ci lasciano sognarle. E tuttavia, le città mostrate da Drago conservano dei caratteri che diremmo onirici, in quanto nelle foto viene proprio evidenziata, insieme alla sua mobilità, anche la indeterminatezza della città, proprio come quando la ricordiamo e immaginiamo in un sogno.
La città, l’immagine e il tempo si annodano, infine, nella ricerca proustiana, alla fine del primo volume dell’opera:

Il ricordo d’una certa immagine non è che il rimpianto di un certo minuto; e le case, le strade, i viali, sono fuggitivi, ahimè, come gli anni2.

Note
1. I. Eibl-Eibesfeldt, Etologia umana. Le basi biologiche e culturali del comportamento, a cura di R. Brizzi e F. Scapini, Bollati Boringhieri, Torino 2001, pag. 399.
2. M. Proust, La strada di Swann, trad. it. di N. Ginzburg, Einaudi, Milano 1978, pag. 454.